
di Giorgia Pellicanò
“Cosa c’è nella selezione di formaggi?”
“Dipende dalla disponibilità giornaliera, in generale è composta da formaggi sia morbidi che stagionati” risposi.
“Tipo cheddar…”
“Abbiamo solo formaggi italiani Sir.”
“Eh si si..”
“Quindi non abbiamo il cheddar.”
Tirai secca e feci il gesto di levarmi la polvere dalla spalla. Tutti risero. Non potevo dire di trovarmi male, certo la pelle delle mani stava venendo via a piccoli pezzetti, perché immagino il sapone per i piatti non avesse ph neutro, e a fine serata i piedi non ne potevano più; ma si guadagnava bene, per essere una cameriera, e i proprietari erano due signori gentili, si informavano sempre se stessimo bene, scherzavano, e il venerdì sera offrivano a tutti noi dipendenti qualcosa da bere. Non erano italiani ma parlavano l’italiano molto bene, così potevo parlare in entrambe le lingue con loro a seconda della situazione, e questo ampliava notevolmente le possibilità espressive. E loro mi avevano chiesto di essere sempre chiara, e io chiaramente dissi loro che me ne sarei andata. Erano brave persone, ma qualcosa doveva cambiare nella mia vita, al più presto. E cadendo in uno dei più banali cliché, il cambiamento sarebbe avvenuto con ogni probabilità a Gennaio. Gennaio è un po’ il lunedì dell’anno, dove tutti i buoni propositi si infrangono in un mercoledì deludente e alcolico. Il mercoledì, dal canto suo, può dirsi un giorno particolare, quasi poetico: sta nel mezzo della settimana, e resta nella sua infame neutralità la sottile linea che distingue il bicchiere mezzo vuoto da quello mezzo pieno. Una di quelle cose a interpretazione, tipo la Bibbia, che condanna i privilegiati ed elogia i disgraziati. Una cosa controversa insomma. Una speranza. E la mia speranza era che il mercoledì del mio anno fosse contraddistinto da una stabilità che mi garantisse di non essere infelice. Non dico che volessi essere strafelice, ma non infelice. Come lo ero in quel Dicembre umido ma non troppo freddo, come lo ero stata perlomeno, e cominciavo a non esserlo più mano mano che l’attesa di un cambiamento, la sua progettazione, si finalizzava lentamente nella sua concretizzazione. Non si dovrebbe mai avere la pretesa della felicità, bisognerebbe solo godersela, quelle volte che viene a salutarci, come un cugino lontano. Bisognerebbe ogni tanto prendere un aereo, e andarlo a trovare noi quel cugino; che tanto ognuno lo sa dove abitano i propri cugini, no?