
di Manuela Costa
Ciao amiciiiiii, inizio questa nuova avventura di travel blogger, grazie alla mia amica Marilà, raccontandovi il mio primo viaggio in Oriente, in una terra tanto amata: la Thailandia. Ho girovagato in questo paradiso per 42 giorni, quindi vi descriverò quest’esperienza in 4 articoli. Buona lettura!
Atterro giorno 5 gennaio 2019 alle ore 5:40 a Bangkok e, non contenta dello stancante viaggio, prendo subito un pullman per la città di Hua Hin, circa 300 km a sud dalla capitale. Da qui dovrò raggiungere l’isola di Koh Phayam, passando per Chumpon e Ranong. L’impatto con Hua Hin, dove mi fermo 2 notti, è abbastanza distaccato; forse per l’effetto jet lag o per la
fastidiosa pioggerellina che mi ha accompagnato durante questo breve periodo di sosta. Che dire di questa città: molto trafficata! Innumerevoli motorini che vanno ovunque, inclusa la corsia opposta, tantissimi taxi di qualunque tipo (dalle tipiche berline ai suv, da piccoli carrettini stile ape cross modificati e super accessoriati a enormi pullman a due piani con poltrone stile salotti ottocenteschi), molti ambulanti che vendono cibo spesso non identificabile, un’infinità di ristoranti e tantissimi posti, da
semplici stanze a saloni di bellezza, dove potersi fare un tipico massaggio thailandese. Lungo le strade ci sono immagini del Re incastonato in gigantesche cornici color oro, nei vicoli, imponenti e affascinanti strutture sacre che resteresti a guardare per ore, statue di varie dimensioni del Buddha dorato e di elefanti con ornamenti e tantissimi piccoli templi, posizionati quasi sempre davanti alle case, colorati e pieni di oggetti strani, animali e qualsiasi cosa si voglia donare, come ad esempio una bottiglietta di acqua con la cannuccia dentro.

Decisamente è stato questo l’oggetto che mi è rimasto più impresso. In città, a due passi dal centro, c’è la spiaggia. Non è tra le migliori che abbia mai visto (ma questa non è un’impresa facile!) ma, essendo lunga e piena di palme, aiuta sicuramente a godersi le vacanze e il caldo in questa località dove si respira decisamente aria di turismo. Posto da non perdere è la caratteristica stazione dei treni: sembra di tornare indietro negli anni.

Da lì mi dirigo verso Chumpon per prendere poi una van che mi porterà a Ranong, dove dormo una notte. Qui di turisti se ne vedono pochi. Si fa base uno o due giorni per raggiungere le isole vicine. Ma nella mia unica giornata di sosta vedo tutto ciò che c’è da vedere. Arrivo che è già buio, mi do una rinfrescata e vado alla ricerca di qualcosa da mangiare. I ristoranti della via principale non sembrano vicinissimi, così approfitto e prendo un passaggio da due gentilissime thailandesi con un suv bianco. Mi dicono di stare attenta essendo sola ma non mi sembra di notare niente di pericoloso, anzi il contrario. Mi fermo in un posticino tipicamente casalingo e mangio la mia seconda zuppa al latte di cocco, stavolta con il pollo invece che di gamberi. Ritorno a piedi in piena tranquillità percorrendo un km e mezzo. Notte, finalmente a pieno sonno, e pronti per la colazione. Servono riso con delle spezie, uova fritte e frutta, strani biscotti e marmellate che sembrano creme. Mangio tutto meno il riso e sono pronta per la mia prima escursione verso le piscine calde. È un posto piacevole ma non ho tempo per immergermi e quindi cammino fino a raggiungere un ponticello sul fiume e torno indietro. Prendo la bici per fare un giretto; scatto due foto al giardino del palazzo reale

e ritorno in centro per andare in banca. E mi rendo conto che qui la violenza sembra non esistere: porte di vetro senza nessun controllo. Pranzo da un’ambulante con un’ottima zuppa di carne e patate, tutto rigorosamente super piccante, e prendo il bus per raggiungere il traghetto. Koh Phayam sto arrivando! Il bus pubblico, un vecchio pk modificato guidato da un vecchietto thailandese lentissimo, mi lascia sulla strada principale. Faccio 200 metri correndo per non perdere il traghetto e, fatto il biglietto, il ragazzo della biglietteria mi da uno strappo su un carrettino attaccato alla moto. Salgo sulla barca, passando per una pedana instabile a rischio caduta 50%, e raggiungo l’isola dopo quasi due orette, passando per acque non proprio cristalline e piccoli isolotti pieni di mangrovie. Ci siamo!

Sbarco sull’isola e i tassisti con lo scooter mi assalgono subito. Voglio prima dare un’occhiata in giro, ma c’è troppo caldo e lo zaino pesa, quindi, dopo foto di arrivo, salto sulla prima moto che mi si avvicina.
Destinazione Sathanee Beach, ristorante sulla famosa Long Beach.
Sarà perché siamo su un’isola, c’è il sole, vegetazione ovunque, solo natura e qualche motorino, ma qui l’impatto è decisamente diverso: mi sento euforica e ansiosa di arrivare e già lo amo questo posto!
Percorriamo quasi 5 km dentro la giungla passando per un’unica stretta via cementata che collega le diverse località dell’isola. Non c’è quasi nulla i primi km, se non qualche bungalow immerso nel verde.
Ma ecco segnali di vita, qualche negozietto e ristorante ed eccoci all’altezza del ristorante; lasciamo la strada principale per entrare in una stradina sterrata fino a raggiungere la spiaggia e la scritta, su un lenzuolo appeso tra due palme, della mia destinazione. Amici: sono emozionata!
Cammino verso il mare, supero due grosse tende da campeggio, in una delle quali dovrò dormirci, e raggiungo il ristorante. L’accoglienza della proprietaria non è delle più entusiasmanti e il mio pessimo inglese mi mette un po’ in ansia, ma sono arrivata in questo posto che sembra magico. E qui ci passerò 17 giorni fantastici.
L’aggettivo che descrive meglio quest’isola è sicuramente “tranquillità”. Non ci sono macchine ma solo scooter; di cemento se ne vede poco quindi niente case e palazzi ma solo bungalows in legno; le discoteche non esistono e la sera, a turno, i ristoranti/bar sulla spiaggia prendono un dj e si balla sotto le stelle. Ci sono dei pub, rigorosamente tutti all’aperto, dove ci si può esibire con la propria musica o eventi organizzati nelle diverse località dove si riuniscono tutti i turisti. Ma la vita è più diurna e sembra andare
più lentamente rispetto al normale. Se hai bisogno di scaricarti dallo stress e hai solo voglia di rilassarti qui puoi fare lunghe camminate, raccogliere le conchiglie, leggere un libro, dondolarti su un’altalena appesa a due palme, o sull’amaca nella verandina della tua casetta fronte mare, fare un massaggio
thailandese o semplicemente puoi prendere il sole e goderti il mare: questa è Koh Phayam!

Se poi ami immergerti nella natura e hai voglia di vedere posti nuovi, come piace a me, armati di buona volontà e di una bottiglia di acqua, e parti alla scoperta di questa stupenda isola.
Come detto la mia base era Long Beach, la spiaggia più lunga del posto

Il mare è piatto e chiaro di mattina, con qualche onda nel pomeriggio. Si tocca fino a stancarsi di camminare dentro l’acqua, c’è solo sabbia sul fondale, qualche pesce e a volte qualche piccolo animaletto che ti punzecchia. La spiaggia oltre ad essere lunga è anche molto larga; si alternano ristoranti e bungalows, dai più semplici tutti in legno ai più sofisticati con finestroni di vetro e grandi verande, ma nulla che entri in contrasto con la natura che li circonda. Le palme fanno da padrone, ma ci sono tantissimi altri maestosi alberi i cui rami creano delle zone di ombra dove potersi sdraiare. Le decorazioni della maggior parte delle strutture turistiche sono fatte con elementi riciclati; tavoli, sedie e lettini sono tutti in legno o bambù; le lampade create con foglie di cocco o altre piante. Insomma: sedersi a gustare un piatto tipico o semplicemente bere un succo di frutta in questo posto, mentre ascolti il rumore del mare, è una sensazione veramente unica.
Camminando fino alla fine di Long Beach, sul versante nord, si incontra un piccolo sentiero naturale. È una passeggiata di circa venti minuti in mezzo agli alberi che si intersecano; un percorso naturale su una piccola collina che ti porta ad una spiaggetta isolata immersa tra le rocce. Valeva la pena vederla.
Sul versante opposto si trova invece la spiaggia di Ao Ko Kyu .

Ci vado con la mia compagna di avventure Evelyn che come me ama camminare. Decidiamo di prendere il sentiero nella giungla per accorciare la strada ma dobbiamo tornare indietro dopo poco a causa delle alte erbacce e dei cespugli.
Prendiamo il percorso cementato per una mezz’oretta fino all’indicazione della nostra destinazione: mancano 800 metri e il cemento finalmente non c’è più! Ci sono delle scale, stiamo arrivando. Si sente il suono del mare. Anche questa non è molto grande e ci sono molte rocce, ma la vegetazione si impone con forza sulla spiaggia. È un posto poco frequentato, ma i turisti hanno lasciato un loro ricordo: i castelli fatti con le pietre rotonde! Preferisco ricordarmi io di questo posto, quindi mi faccio un bel bagno mentre ammiro il verde che mi circonda e mi travolge.
Completamente diversa e sicuramente più suggestiva la spiaggia di Bufalo, divisa in due versanti.
Riusciamo a raggiungere a piedi la parte occidentale di questa fantastica e turistica località.
Camminiamo quasi un’ora, prima lungo una strada sterrata abbastanza larga e poi facciamo l’ultimo tratto su una stradina cementata. Nel primo tratto attorno a noi, in fila indiana, innumerevoli alberi altissimi, con alla base una noce di cocco per raccogliere la resina, mentre alla fine una folta vegetazione, fiori, erbacce, alberi e tante palme fino ad arrivare alla comunità di Koh Phayam. È qui che vive, in vecchi edifici in cemento, circondati da svariati oggetti, da serbatoi di acqua a pezzi di pilastri di un ponte che non è mai stato terminato. Ci sono un sacco di panni di stesi e si sentono schiamazzi di ragazzini. Vediamo una signora che fa il bagno a due bellissime bambine in una tinozza e ci sembra di tornare al tempo dei nostri nonni!

Attraversiamo il fiume a piedi, in un acqua color verdone ma bassa, mentre per il ritorno useremo una piccola zattera galleggiante che si trova sulla sponda opposta. O meglio, questo è quello che avevamo pensato di fare. La marea è bassissima e permette di vedere le radici delle mangrovie uscir fuori dalla sabbia. È un’immagine incantevole.

Proseguiamo fino a delle grosse rocce, alla fine della spiaggia, e anche qui il paesaggio è bellissimo.

La mia amica deve abbandonarmi per tornare al lavoro quindi resto sola per le successive quattro ore. Cosa faccio? Entro subito in quel mare cristallino e mi sdraio dove l’acqua è cosi bassa da poter prendere il sole con il corpo immerso a metà. Vedo dei turisti accerchiarsi attorno a qualcosa che non riesco a riconoscere da lontano. Esco e mi avvicino incuriosita. È un serpente ferito che non riesce a strisciare e che a breve verrà risucchiato dal mare.

Ma mi faccio coraggio e provo a salvarlo. Prendo due rami e, con la collaborazione di una turista, lo portiamo sull’erba. Sembra non reagire, abbiamo agito troppo tardi probabilmente. Triste, torno a prendere le mie cose e decido di avviarmi verso casa. Ma ripasso dove ho lasciato il povero serpente. Con stupore non lo trovo più li: l’ho salvato e sono felice! Ma ora qualcuno deve salvare me. Il fiume è in piena al ritorno e la zattera che pensavo di usare non funziona. Non c’è modo di attraversare a nuoto quindi non mi resta che urlare e chiedere aiuto. Dall’altro lato del fiume intravedo un uomo che mi fa segno di nuotare. Gli indico il mio zaino facendogli capire che non posso e lui mi dice di aspettare. Passano cinque lunghissimi minuti. Riappare e lo vedo tuffarsi in acqua e raggiungere la zattera. Viene verso di me, salgo e attraversiamo insieme il fiume. Le corde erano piene di nodi quindi senza questo gentilissimo thailandese non ce l’avrei fatta: grazie Niky.

Restano da visitare l’altro versante della Bufalo beach, la spiaggia vicino al porto e la Monkey beach.
Aspettiamo il nostro prossimo giorno libero e siamo pronte per questa nuova escursione. Insieme alla mia amica Evelyn affittiamo un motorino e ci godiamo questa giornata fino a sera, cena fuori compresa.
Prima tappa, porto. Parcheggiamo e decidiamo di comprare qualcosa da mangiare per il pranzo. Prendiamo del riso ripieno di banana avvolto in delle foglie: una delizia!
Ci sono degli ombrelli colorati nella via principale che percorriamo fino ad arrivare al grande Buddha.

Scattiamo due foto e siamo pronte per la prima spiaggia, poco distante dal porto.
Si chiama Aow Hin Cow e dista meno di un km dalla strada asfaltata. Ci andiamo in motorino ed è adrenalina pure. È ancora presto, la marea è molto bassa e l’acqua è cosi distante da non poterci neanche rinfrescare i piedi. Procediamo per qualche chilometro verso la Monkey beach, sicuramente una delle mie preferite. Siamo costrette a parcheggiare e a fare a piedi l’ultimo tratto perché troppo dissestato. Siamo in discesa, bambù ovunque, ma delle scimmie neanche l’ombra. Il mare ha un colore stupendo, diverso, più azzurro. Questo posto è un piccolo paradiso.

C’è solo un ristorante e qualche turista. Non resta che entrare in acqua e godersi questo momento. Dopo il pranzo al sacco decidiamo di spostarci per la nostra ultima fermata. Questo lato della Bufalo beach è molto diverso dall’altro. Non mi entusiasma particolarmente se non per i bungalows che si affacciano sul mare: sono enormi e ben strutturati. Ma anche qui il tempo si è fermato. Ammiriamo il tramonto e ci mettiamo in sella per cercare la nostra cena tipica. Prendiamo una zuppa al curry rosso e un’insalata di papaya, entrambe gustosissime. Siamo stanche ma soddisfatte. Si torna al nostro piccolo regno di pace. Ormai mancano pochi giorni alla partenza, ma quest’isola già mi manca ancor prima di lasciarla.

A presto Koh Phayam, sono certa che un giorno ci rivedremo!

